di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
A causa della guerra vi sono almeno 8 milioni di ucraini rifugiati nei diversi Paesi europei. Di questi almeno l’80% è costituito da donne e bambini. Dunque ogni piano di sostegno straordinario – nazionale o europeo – dovrà tener conto necessariamente di aspetti di genere (lavoro in primis) e di tutela dell’infanzia.
A causa della guerra vi sono almeno 8 milioni di ucraini rifugiati nei diversi Paesi europei. Di questi almeno l’80% è costituito da donne e bambini. L’Unione europea ha introdotto la protezione temporanea che garantisce permessi di residenza, accesso al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e al servizio scolastico. Questa emergenza, comunque, durerà per molto anche dopo che la guerra sarà finita.
Lo scenario più plausibile sarà quello di una migrazione circolare costante dall’Ucraina verso diversi Paesi europei, vale a dire flussi costanti di individui da un Paese all’altro per motivi di lavoro. Ed è anche plausibile che la residenza principale di molti ucraini sarà nei Paesi Ue poiché nel momento in cui i bambini si saranno integrati nelle scuole dei Paesi di accoglienza, lo stay rate, plausibilmente sarà più elevato.
Donne e bambini sono, però, soggetti solitamente più vulnerabili, più a rischio di abusi, di violenza di genere e di sfruttamento. Ogni piano di sostegno straordinario – nazionale o europeo – dovrà tener conto necessariamente di aspetti di genere e di tutela dell’infanzia. L’esposizione dei bambini ai traumi e alle violenze della guerra ha un impatto sostanziale sulla salute fisica e mentale di questi non solo in età infantile e adolescenziale ma anche in età adulta. Nel futuro, gli effetti saranno quelli di una minore produttività e capacità di integrazione nel mondo del lavoro e quindi nella società.
In secondo luogo, la dominante presenza femminile tra i rifugiati costituisce un ulteriore problema poiché una piena integrazione nel mercato del lavoro delle donne ucraine è una condizione necessaria per affrontare compiutamente l’emergenza rifugiati. Negli ultimi due decenni le donne immigrate nei Paesi europei hanno sofferto una doppia discriminazione, vale a dire sia in quanto donne sia in quanto immigrate.
Nel 2020 la probabilità di trovare un’occupazione è stata stimata del 14% più elevata per le donne autoctone rispetto alle donne immigrate. Inoltre, il gender gap nelle probabilità di occupazione è rimasto costante tra gli immigrati negli ultimi dieci anni mentre è diminuito per i lavoratori nativi.
In parole più semplici, se le differenze tra lavoratrici e lavoratori nativi si sono ridotte, così non è stato per gli immigrati. Oltre ad avere minori probabilità di trovare un’occupazione, nel 2020 le donne immigrate si ritrovavano nel decile più basso della distribuzione nazionale del reddito perché sono solitamente impiegate in occupazioni a bassa qualifica e bassi salari a dispetto del fatto che mediamente in tutta Europa il numero di donne immigrate laureate è superiore a quello degli uomini.
Invero, se le donne sono già i soggetti più vulnerabili nel mercato del lavoro, le donne immigrate lo sono ancora di più. I premi per l’economia Abhijit Banerjee ed Esther Duflo nel loro libro Una buona economia per tempi difficili (Laterza, 2020) dedicano due importanti paragrafi al mondo del lavoro intitolandoli Tutti per la dignità e Partire dal rispetto.
L’argomento di fondo è che la vera chiave dello sviluppo economico
di una società non è da ritrovarsi esclusivamente nella redazione di piani economici articolati e complessi ma piuttosto nella realizzazione di politiche che mettano costantemente al centro la dignità di donne e uomini in particolare nel mondo del lavoro. Non risolveremo il problema dell’integrazione lavorativa delle rifugiate ucraine – come quello di altre donne immigrate – se non ripartendo da questo punto.
Foto © Silar via Wikimedia Commons
Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana