Home Editoriali 25 novembre 2022. Una questione di rappresentanza

25 novembre 2022. Una questione di rappresentanza

di Giancarla Codrignani

di Giancarla Codrignani. Giornalista, scrittrice e già parlamentare.

ll 25 novembre dell’anno scorso non ce lo saremmo immaginato: venivamo dalla pandemia e i discorsi rituali ne erano stati influenzati. La violenza del virus aveva reso la gente prigioniera nelle proprie case e le donne avevano registrato il massimo dello stress tra lavoro a distanza, preparazione di colazioni, pranzi, cene, cura di bambini scatenati e mariti con pretese fantasiose non gradite; ma non immaginavamo l’impensabile, che un’altra violenza avrebbe invaso l’Europa e, nell’economia globale, il mondo. Solo che la guerra non è un virus, è volontà degli uomini, gli stessi che l’anno prima hanno abbandonato vilmente l’Afghanistan ai talebani.

Dopo otto mesi dobbiamo prendere atto che la violenza di chi offende e chi difende è assoluta follia: 6.000 almeno i morti civili, mentre dei soldati uccisi i governi hanno segretato il numero (saranno più o meno di 50.000?). Ci siamo trovati costretti a «difendere un Paese dal crudele invasore» come i bis-bis-bis nonni nella Crimea del comune Risorgimento; la minaccia si è fatta nucleare e Ursula von der Leyen vede frenato il percorso che deve dare pienezza agli Stati Uniti d’Europa, per contenere la recessione e intervenire contro l’impoverimento della crisi energetica e il nazionalismo più ottuso che egoista di alcuni Stati.

E siccome i fenomeni si globalizzano e la guerra piace così tanto ai maschi, per completare lo scenario il Sud-Est asiatico si è nevrotizzato, la Cina e l’India cercano di defilarsi, Taiwan è una pedina disponibile a un altro gioco e Kim Jong-un lancia missili secondo il solito stile nordcoreano. Banche, borse, armi seguono soddisfatti i bollettini di guerra, mentre si profila l’impoverimento generale di un inverno durissimo che darà ulteriori problemi sociali ai governi. Può succedere di tutto: l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) si è aggiunta al fronte di guerra con il taglio del petrolio, i rifornimenti di armi consentono ancora a Zelenskyy di assestare sconfitte ai russi e avanzare nei territori ucraini, Putin si affida al ricatto del nucleare ed Erdoğan crede di guadagnarsi il prossimo Nobel della pace facendo il mediatore. Può (deve!) succedere anche la cessazione della guerra: i governanti occidentali hanno sempre giurato che prima di tutto onorano la pace.

Contro la guerra le donne iraniane hanno svelato che la libertà arma le ciocche di capelli tagliate in faccia all’oppressore di turno. Le donne – non i governi e neppure i patrioti – insegnano che la libertà non è possesso: il loro corpo non è proprietà di nessuno, nemmeno nella forma simbolica del mostrarsi svelato per ordine degli inviati di Dio. E nemmeno le nazioni – un nome che evoca la nascita, non la morte – sono proprietà di padroni, siano pure i legittimi cittadini: le frontiere sono sempre fluide, indistinte, diverse, ma restano dentro l’uguaglianza degli umani che sono maschi e femmine, ma anche differenze fin qui rinnegate.

Il senso proprietario porta alla violenza. Ed è guerra anche quella dei maltrattamenti, delle offese, dei femminicidi che si ripercuote nella prevenzione negata che intasa di denunce una giustizia che arriva sempre tardi. La guerra-guerra (stavo per dire “la guerra normale”) può sempre trovare la cura preventiva della diplomazia, ma sono necessari governi che si prendano cura della convivenza secondo i princìpi dello Stato di diritto e della democrazia e non siano tentati dalle sfide.

Ormai sono più di una decina le donne che sono capo di Stato o di governo in Europa. Una anche in Italia. Chiarendo però che la donna “riconosciuta” dai maschi come leader diventa veramente “come un uomo”. Non siamo “più buone” dei maschi, è la storia che ha insegnato a un genere solo che cosa significa “subire” e portare per secoli un “velo” metaforico che ci occulta tutte, forse soprattutto le donne delle istituzioni che devono accettare (e riprodurre) il “modello unico”: c’è chi testimonia la differenza e chi si omologa.

Nel nome di Mahsa Animi, noi donne “libere” e democratiche italiane il 25 novembre 2022 ricordiamo che Giorgia Meloni non è rappresentativa quanto la scrittrice Annie Ernaux (vincitrice del premio Nobel 2022 per la letteratura), che denuncia le violenze delle nostre vite con le nostre parole. O quanto Shi- rin Ebadi, Nobel per la pace del 2003, iraniana e musulmana. Esule.

Ph. © Becca Tapert via Unsplash

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Giancarla Codrignani

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