di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Una delle azioni che possono essere intraprese per la costruzione della pace a livello globale è il cosiddetto de-listing, ovvero la rimozione delle borse valori dei produttori di armamenti.
Un mondo con meno armi è una delle condizioni necessarie (seppur non sufficienti) per la costruzione della pace a livello globale. Uno degli aspetti sovente poco evidenziati è quello della quotazione in borsa delle imprese produttrici di armamenti. In generale, la quotazione in borsa di un’impresa condiziona in maniera sostanziale l’operato del management.
Inutile dire che le società quotate hanno un incentivo a rendersi attraenti per gli investitori in generale. Il management, pertanto, è chiamato a redigere piani industriali credibili e trasparenti che assicurino profitti sia nel breve che nel medio periodo.
In una società quotata, peraltro, anche gli incentivi privati per il management rilevano in maniera particolare. Questo è tanto più vero nel caso di separazione tra proprietà e management poiché in questi casi, si o!re al management un potere discrezionale sostanziale.
Il management, infatti, in molti casi tende a massimizzare ritorni privati attraverso la manipolazione di schemi di compensazione ovvero attraverso scelte aziendali con livelli di rischio elevati. Gli economisti e gli esperti, non a caso, si chiedono quale sia il meccanismo di incentivi ottimale per vincolare in maniera efficace i manager ed evitare che incentivi che emergono dal mercato tendano a dominare gli indirizzi di gestione indicati dagli azionisti di riferimento.
Invero, tali attitudini e criticità, evidenziate da anni di studi, costituiscono dei driver cruciali per interpretare il comportamento delle imprese quotate oltre che rappresentare i nodi che diversi modelli di corporate governance intendono superare. Altra criticità rilevante nelle società quotate è l’influenza esercitata dagli azionisti di minoranza, in particolare se investitori istituzionali.
Sebbene questi non partecipino ai processi decisionali, in alcuni casi, essi sono comunque influenti e in grado influenzare i corsi azionari. Questo insieme di criticità evidentemente non può che essere più problematico per le imprese produttrici di armamenti. Invero, i produttori di armamenti, infatti, hanno sempre avuto maggiori vincoli derivanti dalle esigenze di sicurezza nazionale e dagli indirizzi di politica estera del proprio paese.
Questi in alcuni casi dovrebbero determinare una limitazione dei profitti potenziali. Accordi di limitazione delle esportazioni degli armamenti, come l’ATT, se rispettati riducono il mercato potenziale andando quindi a incidere negativamente sui piani industriali e sulle performance aziendali attese.
Tali limitazioni dovrebbero porre un vincolo sostanziale all’operato del management e anche all’influenza degli azionisti di minoranza. Non è possibile, tuttavia, escludere che le criticità sopra esposte – incentivi privati e scelte rischiose del management oltre all’influenza degli azionisti di minoranza – non emergano anche in presenza dei vincoli imposti dall’autorità pubblica.
Detto in termini più semplici, non possiamo escludere che il management delle imprese produttrici di armamenti, sia comunque influenzato dall’esigenza di apparire attrattivo agli investitori, dall’esistenza di incentivi privati legati ai propri schemi di compensazione o dai segnali provenienti da azionisti di minoranza in particolare nel caso di investitori istituzionali.
Questi aspetti, in pratica, possono stimolare comportamenti e scelte che puntino alla massimizzazione dei risultati economico-finanziari anche in un breve periodo e quindi debbano basarsi inevitabilmente su maggiori fatturati.
Questo può determinare un incremento delle vendite di armamenti a livello mondiale andando a costituire una minaccia al mantenimento della pace. Alla luce dell’incancrenirsi di molti conflitti armati, è arrivato il tempo di proporre a livello globale una campagna di de-listing, vale a dire di rimozione delle borse valori, dei produttori di armamenti.
Se i governi decidessero di porre in essere un’operazione di questo tipo, gli incentivi a massimizzare le vendite di armamenti da parte delle imprese produttrici diminuirebbero. Rimuovendo dalle borse i produttori di armi, peraltro, le limitazioni già esistenti alla vendita di dispositivi d’arma potrebbero divenire anche più efficaci. Un’operazione di de-listing a livello globale, pertanto, consentirebbe agli Stati un’azione più efficace nella costruzione della pace.
Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana