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Uganda alle urne

di Enzo Nucci

di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.

Domani 14 gennaio si vota in Uganda. Se l’ascesa di Yoweri Museveni alla guida dell’Uganda fu salutata con favore dalla comunità internazionale, da troppi anni le accuse di corruzione e una leadership autoritaria sono la cornice di riferimento del suo intramontabile potere.

Yoweri Museveni, 76 anni di cui 34 già trascorsi alla guida dell’Uganda, il 9 aprile 2020 ha convocato giornalisti, fotografi e cameraman nel suo studio presidenziale. Nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione o intervista ma in tuta da ginnastica grigia e a piedi scalzi si è esibito in una corsa all’interno dell’ampia stanza con moquette e successivamente in una serie di flessioni, rigorosamente riprese dalle telecamere.

Un patetico spettacolino analogo a quelli offerti alla nostra memoria da altri dittatori: le nuotate di Mao nel  fiume Giallo, cavalcate e taglio del fieno di Mussolini, senza dimenticare le più impegnative imprese sportive di Idi Amin Dada (non a caso predecessore di Museveni) che amava esibirsi in improbabili gare di velocità in piscina ed incontri taroccati di boxe dove ovviamente vinceva sempre per ko.

Un dispendio propagandistico e di energie per dimostrare agli ugandesi che il ribelle che rovesciò Idi Amin non teme l’età e che può tranquillamente continuare a governare l’Uganda per un altro mandato, il sesto. Del resto che non avesse intenzione di lasciare la poltrona, lo si era già capito nel 2017 quando fece approvare dal parlamento (in cui il suo partito ha una schiacciante maggioranza) la norma che ha rimosso dalla carta costituzionale il limite di età per i presidenti, aprendogli la strada alla ennesima riconferma.

Museveni è tra gli statisti più duraturi d’Africa: a contendergli il primato ci sono Teodoro Obiang, che guida la Guinea Equatoriale dal 1979, e Paul Biya, presidente del Camerun dal 1982. Agli oppositori ha lanciato messaggi chiari: proiettili e bastonate, arresti e minacce.

Il 14 gennaio si vota. Scontata in queste condizioni la sesta rielezione di Yoweri Museveni. Non nutrono dunque grandi speranze i 10 candidati che sfidano il presidente. Il più popolare tra loro è il cantante e parlamentare Bobi Wine, 38 anni, nome d’arte di Robert Kyagulanyi, che guida la Piattaforma di Unità Nazionale.

È noto con il soprannome di “presidente del ghetto” perché parla ai giovani di giustizia, povertà e corruzione, temi caldi dell’agenda politica. Bobi Wine vanta decine di arresti negli ultimi anni con l’accusa di organizzare manifestazioni illegali. Ma l’ultimo passaggio in carcere di
novembre ha avuto l’effetto di portare i contestatori in piazza. La capitale Kampala ed altre grandi città sono state teatri di violentissimi scontri. Polizia ed esercito hanno sparato sui manifestanti con un bilancio pesantissimo: 49 morti e 60 feriti.

Era chiaro che Bobi Wine non avrebbe avuto vita facile già dal 3 novembre scorso quando finì in manette dopo aver registrato la sua candidatura per le presidenziali con l’accusa di organizzare manifestazioni illegali. Mentre nell’ottobre 2019 il governo ugandese emanò una legge che vieta di portare in pubblico il basco di colore rosso, diventato il simbolo della resistenza al potere del suo movimento.

Con la diffusione del Coronavirus, sono state imposte restrizioni alla campagna elettorale concentrata essenzialmente su internet. Una scelta pensata proprio per penalizzare le opposizioni ma anche la maggioranza degli elettori che non possiedono smartphone e che non hanno la possibilità di sostenere i costi delle connessioni. Oltre allo stretto controllo sul web e sui media, va ricordato che il governo ugandese ha capito da tempo le potenzialità “rivoluzionarie” della rete tanto da decidere nei mesi scorsi tasse sulle connessioni, che furono all’origine di altre proteste promosse proprio dai giovani.

Ovviamente le limitazioni alla campagna elettorale non hanno avuto valore per i componenti del governo che hanno potuto tenere riunioni all’aperto, come ad esempio il ministro della sanità. Le misure per contenere la pandemia – ha tuonato l’opposizione – sono diventate uno strumento nelle mani di Museveni per impedire all’opposizione di organizzarsi e far arrivare a tutti la sua voce.

L’ascesa di Yoweri Museveni alla guida dell’Uganda fu salutata con favore dalla comunità internazionale. Innanzitutto sancì la fine di lunghi anni di instabilità politica in un paese che resta centrale nell’area dei Grandi Laghi. Si presentò come uno statista nuovo e dinamico
in grado di promuovere riforme economiche ed educative di tipo innovativo, riuscendo a traghettare la nazione fuori dall’incubo dell’Aids che fece dell’Uganda uno dei Paesi al mondo con la maggiore diffusione del morbo. Le accuse di corruzione e una leadership autoritaria sono da troppi e lunghi anni la cornice di riferimento del suo intramontabile potere.

[pubblicato su Confronti 01/2021]

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Enzo Nucci

Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana

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