di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia sistematica e Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma.
Il rito propiziatorio della “pastora” evangelical Paula White in favore del proprio protetto Donald Trump ha fatto il giro del mondo. A prescindere dalle considerazioni sulla sua efficacia, l’avvenimento ci spinge a fare alcune riflessioni teologiche.
Credo fosse il 5 novembre scorso. Mentre si profilava la vittoria di Joe Biden nella competizione elettorale statunitense, la rete telematica diffondeva le immagini di un singolare rito propiziatorio celebrato dalla “consigliera spirituale”di Trump, la “pastora” Paula White.
Costei, agitando ritmicamente il pugno, affermava di avvertire the sound of victory, nonché l’intervento di angeli dall’Africa e dal Sudamerica e chiedeva al Signore di colpire l’avversario del suo protetto.
La scena, facilmente rintracciabile (su YouTube, ad esempio), presenta aspetti esilaranti, intrecciati con altri che inquietano una coscienza cristiana e forse, per le ragioni che dirò, in modo particolare una coscienza protestante. La dimensione comica quasi non richiede illustrazione: parole deliranti vengono scandite in nome di Dio in un rap dell’insensatezza: né il Beckett di Aspettando Godot né il Corrado Guzzanti di Snack e Gnola (senza voler con questo introdurre paragoni fuori luogo) avrebbero potuto far meglio, o peggio. Esattamente qui, però, si innesta la questione critica: la “pastora” White si presenta come involontaria, ma proprio per questo insuperabile, testimonial dell’identificazione della fede cristiana ed evangelica(l) con la più plateale superstizione, investita per giunta a favore di una pessima causa reazionaria e antidemocratica.
La “pastora” White, in realtà, rappresenta soltanto sé stessa e il suo, pur cospicuo, manipolo di adepti e finanziatori, uno dei quali l’ha introdotta nello staff della Casa Bianca.
Innumerevoli Chiese ed esponenti del mondo evangelico americano hanno da tempo messo in guardia nei confronti del suo messaggio che, se proprio lo si deve inquadrare nelle categorie della storia cristiana, rappresenta una forma di gnosi grottescamente attualizzata e semplificata. Tali condanne, tuttavia, non hanno in alcun modo impedito il diffondersi della “predicazione” di costei.
Se il problema fosse circoscritto a Paula White, ci si potrebbe almeno in parte consolare con la constatazione che, se non altro, il suo discepolo ha perso le elezioni e forse anche lei vedrà ridotta la propria influenza. Il fatto è che il mondo evangelicale produce fenomeni del genere in modo che definirei “virale”.
L’aggettivo, particolarmente pesante in questi mesi, ha qui diversi significati: uno di essi indica il fatto che né le Chiese evangeliche classiche, né quelle carismatiche e pentecostali che esprimono un cristianesimo più tradizionale, riconoscibile e riconosciuto, hanno
strumenti per limitare la dinamica di autolegittimazione mediatica e finanziaria di questo selvaggio sincretismo.
Non è necessario essere storici per sapere che anche la cosiddetta “ortodossia” cristiana è sempre stata un intreccio di dottrine e tendenze diverse e di varia origine, che si sono imposte anche mediante operazioni politiche e di potere.
L’esistenza, tuttavia, di una dottrina cristiana comunemente riconosciuta (ad esempio: le persone trinitarie sono tre e non sette come i samurai di Kurosawa; il Verbo di Dio si è fatto uomo e non angelo ecc.) ha favorito il ruolo storico svolto dalle Chiese.
Il problema che il mondo evangelico, tradizionale e non, deve affrontare nel postmoderno interconnesso è il seguente: come può essere tutelata una dottrina cristiana minimamente condivisa, in assenza di un’istituzione forte?
La domanda non dev’essere interpretata in chiave nostalgica: il prezzo preteso dalle istituzioni forti e dai loro uffici autosantificati per tutelare la dottrina è noto e le ragioni che la Riforma protestante ha addotto per non pagarlo mantengono, almeno a giudizio di chi scrive, la loro validità.
La Riforma, però, ha riconosciuto e ampiamente valorizzato l’esigenza istituzionale, in modo diverso, ma non meno incisivo delle Chiese cattolica o ortodossa orientale.
Quali modalità possa assumere tale istanza nell’attuale mondo “liquido”, così da permettere all’opinione pubblica secolare e ai credenti di altre fedi di distinguere a prima vista tra il cristianesimo dai fenomeni alla Paula White?
La Chiesa ha sempre saputo che senza istituzione il carisma è in balia dei lestofanti: è ancor più vero nell’epoca multimediale.
[pubblicato su Confronti 01/2021]

Fulvio Ferrario
Professore di Teologia sistematica e Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma